Confesso che allora anch'io partecipai generosamente alle illusioni comuni, né peraltro le chiamo illusioni se non pel tracollo che diedero poi. Del resto s'avevano grandissimi ed ottimi argomenti di sperare. Quel giorno infatti fu un gran giorno, e degno di essere onorato dai posteri italiani. Segnò il primo risorgimento della vita e del pensier nazionale: e Napoleone, in cui sperava allora e del quale mi sfidai poscia, avrà pur sempre qualche parte della mia gratitudine per averlo esso affrettato nei nostri annali. Venezia doveva cadere; egli ne accelerò e ne disonorò la caduta. Vergogna! Il gran sogno di Macchiavello dovea staccarsi quandocchesia dal mondo dei fantasmi per incombere attivamente sui fatti. Egli ne operò la metamorfosi. Fu vero merito, vera gloria. E se il caso gliela donò, s'egli cercolla allora per mire future d'ambizione, non resta men vero che il favore del caso e l'interesse della sua ambizione cospirarono un istante colla salute della nazione italiana, e le imposero il primo passo al risorgimento. Napoleone, colla sua superbia, coi suoi errori, colla sua tirannia, fu fatale alla vecchia Repubblica di Venezia, ma utile all'Italia. Mi strappo ora dal cuore le piccole ire, i piccoli odii, i piccoli affetti. Bugiardo ingiusto tiranno, egli fu il benvenuto.
Se cosí infervorato era io, figuratevi poi l'Aglaura; la quale, senza ch'io vel dica, avrete già conosciuto che aveva una testa voltata affatto a quegli entusiasmi di repubblica e di libertà! A cotali sue preoccupazioni io ascrissi per quel giorno la poca cura ch'ella si avea dato del suo Emilio; ma la sera le ne mossi parola quando ci fummo allogati in due camerette d'un'umilissima locanda sul corso di Porta Romana.
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