Egli si mostrò spiacentissimo di non avermi potuto inscrivere nella Legione Cisalpina dove non c'era proprio piú nessun posto vacante; ma piuttosto che lasciar ozioso un par mio, diceva egli, avrebbe cercato inspirazione dal diavolo, e poteva esser contento che gliene era saltata una di ottima.
- Ora ti menerò dal tuo generale - diss'egli - generale, comandante, capitano, commilitone, tutto quello che vorrai! È uno di quegli uomini che sono troppo superiori agli altri per darsi la briga di accorgersene di mostrarlo: non si può credere ad alcun patto che in lui sia un'anima sola, e sembra che la sua immensa attività dovrebbe stancarne una dozzina al giorno. Contuttociò ammira i tranquilli e compatisce perfino gli indolenti. Sul campo io scommetto che da solo basterebbe a vincere una battaglia, purché non gli ferissero gli occhi nei quali risiede la sua potenza piú straordinaria. È napoletano, e a Napoli direbbero che ha la jettatura, ovvero, come dicono nei nostri paesi, il mal'occhio; da non confondersi peraltro coll'occhio cattivo, anzi pessimo del fu cancelliere di Fratta.
- E chi è questa fenice? - gli chiesi.
- Lo vedrai, e se non ti va a sangue mi faccio sbattezzare.
In queste parole mi tirò fuori del caffè, e giù a passo sforzato oltre al Naviglio di Porta Nuova verso i bastioni. Entrammo in una vasta casa dove il cortile era pieno affollato di cavalli di stallieri di scozzoni di selle di bardature come in una caserma di cavalleria. Per la scala era un su e giù di soldati di sergenti d'ordinanze come al palazzo del Quartier Generale.
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