Nell'anticamera altri soldati, altre armi disposte a trofeo o gettate a fasci nei cantoni: v'avea anche ammassato in un canto un piccolo magazzino di tuniche di tracolle e di scarponi soldateschi.
Chi è?
pensava io "forseché è l'Arsenale?..."
Lucilio tirava diritto senza scomporsi, come persona di casa. Infatti senza neppur farsi annunziare nell'ultima anticamera da una specie d'aiutante che stava là contando i travi, schiuse la porta ed entrò tenendomi per mano dinanzi allo strano padrone di quel ginnasio militare.
Era un giovine alto, di trent'anni all'incirca, un vero tipo di venturiero, il ritratto animato d'uno di quegli Orsini, di quei Colonna, di quei Medici la cui vita fu una serie continua di battaglie, di saccheggi, di duelli, di prigionie. Si chiamava invece Ettore Carafa; nobilissimo nome fatto piú illustre dall'indipendenza di chi lo portava, dal suo amore per la libertà e per la patria. Per le sue trame repubblicane aveva egli sofferto lunga carcerazione nel famoso Castel Sant'Elmo; indi fuggitone s'era ricoverato a Roma, e di là a Milano a formarvi a proprie spese una legione per liberar Napoli. Aveva uno di quegli animi che uniti o soli vogliono fare ad ogni costo; e questa magnanimità gli respirava dignitosamente nella grand'aria del viso. Soltanto tramezzo un ciglio gli calava giù una piccola cicatrice contornata da un'aureola di pallore; sembrava il segno d'una trista fatalità fra le nobili speranze d'un valoroso. Egli s'alzò dal lettuccio sul quale stava disteso, tese la mano a Lucilio e si congratulò secolui del bell'ufficiale che gli accompagnava.
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