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      Roma, già consumata dal trattato di Tolentino, fu del tutto spogliata per la presenza dei repubblicani; l'uccisione del general Duphot, pretesto alla guerra, fu suffragata con esequie, con luminarie e colla spogliazione di tutte le chiese. Casse gravi di pietre preziose s'incamminavano per Francia, mentre l'esercito restava stremo di tutto e tumultuava contro Massena succeduto a Berthier. Le campagne insorgevano ed erano piene d'assassinii; cominciava insomma uno di quei drammi sociali rimasti solamente possibili nel mezzogiorno d'Italia e nella Spagna. In quel torno, compiuto l'ordinamento della legione del Carafa, non altro si aspettava che l'assenso del general in capo francese per partire a quella volta. Io mi trovava in un bell'imbroglio. L'Aglaura voleva partirsi con me giacché il viaggio di Roma s'accordava alle sue idee; io né voleva rifiutarmi né esporla ai pericoli d'una lunghissima marcia in stagione disastrosa come quella. Scriveva perciò a Venezia; non rispondevano. La Pisana stessa mi teneva allo scuro di sue novelle da un pezzo. Quella spedizione di Roma mi si presentava sotto auspicii tristissimi. Tuttavia sperava sempre dall'oggi in domani; e mentre il Carafa tempestava per quel benedetto assenso sempre ritardato, io me ne confortava come d'un maggior campo che ancora mi rimaneva a qualche vaga speranza. I miei tre amici con parte della Legione lombarda, erano già calati verso Roma. Restava proprio solo, e non aveva altra compagnia che quella dello splendido capitano Alessandro.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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