Il peggio si era che, venuta da Venezia o da Milano, il fatto sta che la voce s'era sparsa della mia convivenza con una bella greca: ed erano continue le baiate sopra di ciò dei miei commilitoni. Immaginatevi qual consolazione col bel costrutto che ce ne cavava! Vi assicuro che avrei dato una mano, come Muzio Scevola, perché Emilio si stancasse della contessa milanese e venisse a riprendersi l'Aglaura. Non ch'ella mi pesasse molto, ché mi ci era avvezzato, e la mi faceva da governante con una pazienza mirabile, ma mi seccava di aver l'apparenza d'una felicità che in fatto apparteneva ad un altro. Mi fu svagamento a tali fastidi l'amicizia rappiccata col Foscolo reduce da qualche tempo a Milano. La sua focosa e convulsa eloquenza mi ammaliava; lo udii per piú di due ore bestemmiare e sparlare di tutto, dei Veneziani, dei Francesi, dei Tedeschi, dei re, dei democratici, dei Cisalpini, e gridava sempre alla tirannia, alla licenza; vedeva fuori di sé gli eccessi della propria anima. Pure Milano di allora gli era degno teatro. Colà s'erano riuniti i piú valenti e generosi uomini d'Italia; e l'antica donna, che sparsi non li aveva contati, gloriavasi allora a buon dritto di quell'improvviso ed illustre areopago. Aldini, Paradisi, Rasori, Gioia, Fontana, Gianni, i due Pindemonte, erano personaggi da riscaldare la potente loquela di Foscolo. Per mezzo suo conobbi anche i poeti Monti e Parini, l'armonioso adulatore, e il severo ed attico censore. La figura grave serena ed affabile del Parini mi resterà sempre impressa nella memoria; i suoi piedi quasi storpi, lo conducevano a rilento; ma il fuoco dell'anima lampeggiava ancora dalle ciglia canute.
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