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      L'Aglaura, che avea preso il partito di aver comune con me il padre giacché aveva la madre, mi rispose in nome suo che sarebbe fatto, e che ella cercherebbe ogni modo d'averne contezza sovente, poiché anche a lei stava a cuore un sí buon papà. Ci separammo a Mantova proprio il giorno che quella città aveva ottenuto il permesso definitivo di aggregarsi alla Cisalpina; la mestizia dei commiati nostri andava perduta nella gioia nella speranza universale. Io aveva ritrovato una sorella, mi pareva di esser sulla buona via per trovare una patria; ben mi stava di vivere s'anco avessi perduto per sempre l'amore. Intanto ci demmo la posta a Venezia, tutti repubblicani, liberi, contenti! Essi scomparvero in un calesse sulla via di Verona, io ripresi a piedi la strada della città, fuor della quale li aveva accompagnati un buon miglio. Quell'ammasso di case di torri di cupole in mezzo all'acqua del Mincio mi fece pensare a Venezia: cosa volete? Invece di sorridere, sospirai; il passato poteva sopra di me assai piú del futuro, o lo stesso futuro mi traspariva qual doveva essere, di gran lunga diverso dalla creatura prediletta dell'immaginazione. Cionullameno quella festa d'una città italiana, già signora di sé, con corte, con leggi, con privilegi proprii, la quale si metteva uguale colle altre per esser libera o serva, felice od infelice insieme alle altre, mi saldò nel cuore un bel germoglio di speranze. Sono di quelle speranze che son sicure di crescere, e che morti noi, crescono nel petto dei figliuoli e dei nipoti finché tutte le loro parti abbiano avuto effetto di realtà. Anche i Gonzaghi diventavano omai una vecchia memoria storica.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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