In Toscana come in Piemonte v'aveva la strana sconcordanza d'un principe che regnava e d'un general francese che imperava. Parevami proprio vedere i re della Bitinia, della Cappadocia o di Pergamo con Silla, Lucullo, e quegli altri dabbenuomini ai panni. Morivano essi lasciando erede il popolo romano; ma né Lucullo né Silla né i generali francesi di sessant'anni fa avevano scrupolo di prelevare qualche legato... A Firenze trovai il Carafa, ma non l'intera legione che s'era avviata verso Ancona per le rimostranze di neutralità fatte dal Granduca. Il signor Ettore pareva molto pensieroso; io credeva pensasse ai suoi soldati, ma egli si stizzí anzi ch'io glieli avessi recati a mente. Malediceva a denti stretti le donne, dicendo ch'è una vera sciocchezza la nostra il degnarsi di uscire alla luce da cotali demonii.
- Diavolo, capitano, e donde vorreste nascere? - gli chiesi.
- Dal Vesuvio, dall'Etna, dai gorghi tempestosi del mare! - egli mi rispose. - Non già da questi mostricciuoli armati di forza viperea che si vendicano di averci fatto nascere col toglierci oncia ad oncia la vita!...
- Capitano, siete proprio infelice e pessimista in amore?...
- Lo credo io!... Con un'amante che mi ama e non mi ama; cioè mi ha amato o si è lasciata amare come vorrei io una settimana, ed ora vuol amarmi alla sua maniera, che è la piú strana ed insopportabile della terra!
- Quale maniera, capitano?
- Quella dei datteri, che fanno all'amore l'uno in Sicilia e l'altro in Barberia.
Io ne risi un poco di questo paragone; ma in fondo in fondo quando si veniva sul discorso di guai amorosi ci aveva pochissima voglia di ridere.
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