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      Intanto, giunto che fui a Roma, successe del mio dolore quello che d'ogni piccola cosa al soverchiar d'una grande. Restò stupito, soffocato, dimenticato quasi. Che può essere infatti l'infelicità d'un uomo in cospetto dei lutti d'un'intera nazione?... Io ritrovava quasi una pace stanca, una mestizia senza amaritudine contemplando gli avanzi fulminati della gran caduta: sopra di essi mi parevano giuochi e freddure le pompe le minutaglie dei secoli cristiani. Solo nelle catacombe vagolava uno spirito di fede e di martirio che sublimava il cristianesimo sopra i grandiosi sepolcri pagani. Io mi curvava tremebondo sotto quelle sante memorie di sacrifizio e di sangue; e le torture e le flagellazioni e i vituperi e gli strazii e la morte lietamente sofferta per un'idea ch'io ammirava senza comprenderla, impiccolivano agli occhi miei quella soma d'affanni ch'io mi dava ad intendere di non poter trascinare. Nell'emulazione dei grandi sta la redenzione dei piccoli.
      Peraltro se il vivere nella Roma antica dei consoli e dei martiri mi dava qualche conforto, la Roma d'allora invece mi empieva di rammarico e quasi di spavento. Il Papa n'era andato senza scherni e senza plauso; perché avendo dovuto rimettere molto della pompa e della magnificenza colle quali era solito vivere, il popolo non si accorgeva piú di lui. Dallo splendore della corte e delle cerimonie, piú che dalla virtù e dalla santità della vita si misurava l'eccellenza del principe del cristianesimo. Una confusione di cose venerabili per religione e per età ladramente vituperate, di schifezze levate a cielo e splendidamente decorate, di stupidi superstiziosi e di vili rinnegati, di saccheggi e di carestie, di epuloni e di affamati, di frati cacciati dai conventi, di monache strappate ai loro ritiri, di cardinali inseguiti dai cavalleggieri, e di cavalleggieri scannati dai briganti; tutto andava a soqquadro, si rovesciava alla perdizione; giudice del bene o del male il talento annebbiato od illuso d'ognuno: un mescolarsi di resistenze pretesche, di arbitrii francesi, di licenze popolari e di assassinii privati; un mettersi avanti di grandi ed onesti nomi per coprire l'infamia dei piccoli; continui mutamenti senza fede senza sicurezza, cagionati dalla rapacità di chi amava pescare nel torbido.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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