I miei compagni con pistole fra mano e la spada fra i denti si precipitarono dalle finestre, e sgominando per la sorpresa i pochi nemici distratti dalla vista dell'incendio, si ritrassero a salvamento sulla collina. Uno solo, inciampato nel cadere, si slogò e si ruppe una gamba, benché il salto da quella parte fosse discretissimo; e subito quei sicari gli furono addosso come lupi ad un agnello, e a dirvi le torture e gli strazii che gli fecero soffrire, sarei tacciato senza fallo di bugiardo, perché sembrerebbe impossibile che tanto si infierisse contro una creatura umana in un attimo di tempo. Io mi ritrassi raccapricciando; pure una forza sovrumana mi comandava di non fuggire; mi relegava fra quelle muraglie già invase dalle fiamme. Altre creature vi erano chiuse, non sapeva chi; ma bastava perché io, cagione innocente di quell'eccidio, mi sacrificassi ad una lontana lusinga di poterle salvare. Correva come un pazzo pei lunghi corritoi, passava da porta a porta per le innumerevoli celle e pei profondi appartamenti del chiostro; l'aria si riscaldava sempre piú come d'un forno in cui si rattizzi mano a mano la fiamma. Dappertutto era solitudine e silenzio; solo gli urli di fuori e un lontano strepito d'archibugiate aggiungeva terrore a quegli angosciosi momenti. Deliberato a non tentare la fuga se prima non era ben certo che anima umana non restasse in quell'inferno, mi avventurai a un disperato passaggio sopra quell'andito il cui pavimento ci era quasi crollato sotto ai piedi.
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