Colà arrivato, la acconciai nel mio letto, le feci aprir la vena da un barbiere lí presso, e finch'ella rinveniva, per toglierle la commozione della sorpresa, uscii sopra un loggiato che prospettava la campagna. Si vedeva il convento simile in tutto ad un gran rogo, le fiamme rossastre e fumose si disegnavano sempre meglio sopra il cielo che s'imbruniva, e al loro tetro bagliore si vedevano luccicare le baionette dei legionari che premevano alle reni i fuggiaschi Napoletani. La battaglia era vinta e tristi presagi circondavano il primo ingresso dei liberatori nei confini della Repubblica Romana.
Quando rientrai, la Pisana s'era già posta a sedere sul letto e mi accolse con minor confusione di quanto mi sarei aspettato. Fu anzi ella la prima a parlare, il che mi sorprese assai per l'economia di fiato ch'ella usava fare anche in momenti d'assai meno scabroso discorso.
- Carlo - mi diss'ella - perché non mi hai lasciato dov'era?... Sarei morta da eroina e a Roma mi avrebbero messa nel nuovo Panteon.
Io la guardai esterrefatto, giacché quelle parole mi sapevano di pazzia; ma ella mostrava ragionare col suo miglior senno, e dovetti rispondere a tono.
- Lasciando te avrei dovuto restare anch'io! - soggiunsi con voce tanto commossa che stentava a tirar innanzi. - Ti giuro, Pisana, che sul primo momento che ti ravvisai ebbi una gran voglia di ucciderti e di morire!
- Oh perché non lo hai fatto? - gridò ella con tale accento del quale mi fu forza riconoscere la sincerità e la disperazione.
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