Queste ultime parole io le condii d'un discreto sapore d'ironia, ond'ella inalberandomisi dinanzi:
- Guai a lui, o guai a te! - sclamò con atto profetico.
- Guai a nessuno - io le risposi con fronte sicura - guai a nessuno; pur troppo!... Io sarei ben fortunato di poter uccidere taluno!...
- Perché non uccidi me? - uscí ella a dire con molta ingenuità.
- Perché... perché... perché sei troppo bella... perché mi ricordo che fosti anche buona!
- Taci, Carlo, taci!... Credi che verrà presto il signor Ettore?
- Non te lo dissi?... Appena potrà!...
Ella tacque allora per lunga pezza, e al dubbio chiarore della luna che entrava dalla loggia vicina, vidi che molti e varii pensieri le traversavano la fronte. Ora fosca, ora raggiante, ora tempestosa come un cielo carico di nuvole, ora calma e serena come il mare d'estate; si componeva talvolta all'attitudine della preghiera, poco dopo stringeva il pugno come avesse in mano uno stilo e ne ferisse a piú riprese un petto aborrito. Colle vesti discinte, brutte di sangue e di polvere, coi capelli semiarsi e scarmigliati, colle sembianze scomposte dalle vicende terribili di quella mezza giornata, ella poggiava il gomito sulla tavola affumicata e sanguinosa pur essa. Sembrava qualche negra pitonessa uscita dall'Erebo allora e meditante gli spaventevoli misteri della visione infernale. Io non osava rompere quel tetro silenzio, avea anch'io bisogno di raccogliermi e di pensare, prima di provocare le rivelazioni della tetra Sibilla. La storia del cuor suo e quella della sua vita dopo la mia partenza si illuminavano a sprazzi nella mia atterrita fantasia; ma aveva ribrezzo di guardare, sentiva che pel momento era uno sforzo superiore alle mie forze.
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Carlo Ettore Erebo Sibilla
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