Se taluno mi avesse detto: "a prezzo di farti stupido io prometto convincerti della innocenza della Pisana", certo io avrei accettato il contratto.
Indi a un'ora circa il signor Ettore Carafa solo, accigliato, entrò nella stanza. Non aveva cappello, ché l'aveva perduto nella mischia, cingeva il fodero senza spada perché l'aveva spezzata nel cranio d'un dragone dopo avergli segato l'elmo per mezzo alla cresta; la sua cicatrice s'imbiancava d'un pallore quasi incandescente. Salutò, si mise tra me e la Pisana, e aspettò che alcuno di noi parlasse. Ma la Pisana non lo lasciò aspettare a lungo, ché con fare superbo e stizzoso gli domandò che ripetesse la storia de' miei amori colla bella greca; e narrasse la cosa ingenuamente come l'aveva narrata a lei. Il Carafa infatti, chiestone a me licenza, narrò senza scomporsi quello che aveva saputo di tali amori nei crocchi di Milano, e della bella giovane, e della gelosia con cui la teneva nascosta agli occhi di tutti.
- Ecco, Pisana, cosa vi narrai - conchiuse egli - quando appena giunta a Milano veniste da me a chiedermi se nulla sapeva di Carlo Altoviti mio ufficiale e degli amori suoi che facevano tanto chiasso appunto pel loro mistero.
Narrando ciò, non facea che ripetere la voce di tutti, e ne andava certamente illeso l'onore di colui ch'era l'eroe di quei tali amori. Ho fallato?... Non mi pare!... Di null'altro debbo render conto a nessuno!
La Pisana parve soddisfatta abbastanza di questa temperatissima arringa del Carafa, e si volse a me, come il giudice al reo dopo la deposizione d'un testimonio irrefragabile.
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