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      Non era quella una guerra tra uomini, ma uno sbranarsi tra fiere. Si attendeva in Napoli a rafforzare il governo, ad instillare nel popolo sentimenti repubblicani, a fargli insegnare un vangelo democratico tradotto in dialetto da un cappuccino, a dargli ad intendere che san Gennaro era diventato democratico. Ma da lontano strepitavano le armi russe di Suwarow e le austriache di Kray accennando all'Italia; la flotta di Nelson, vincitrice di Abouckir, e le flotte russe e ottomane, padrone delle isole Jonie, correvano l'Adriatico ed il Mediterraneo. Bonaparte, il beniamino della vittoria, si divertiva a trinciarla da profeta coi Beduini e coi Mamalucchi; con lui la fortuna avea disertato le bandiere francesi, e il solo valore le difendeva ancora sulle terre straniere ov'egli, fulmineo vincitore, le aveva piantate. Dopo alcuni mesi si avverò quanto si temeva. Macdonald succeduto a Championnet fu richiamato nell'alta Italia contro gli Austro-Russi che l'avevano invasa; lasciata qualche piccola guarnigione nel Castello di Sant'Elmo, a Capua, a Gaeta, egli dovette aprirsi il passo coll'armi alla mano, tanto la ribellione imbaldanziva oggimai anche sui confini dello Stato romano.
      Io m'era abbattuto molte volte in Lucilio in Amilcare e in Giulio Del Ponte, durante quella guerra disordinata; ma sempre per pochissimi istanti, giacché le nostre colonne giovavano assai in quelle fazioni per lo piú d'imboscata e di montagna, e le adoperavano senza remissione a destra e sinistra sull'Adriatico e sul Mediterraneo.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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