Da ciò venni in sospetto che mio padre si fosse affaccendato in fin allora in quell'alleanza turco-russa che avea fatto maravigliare il mondo per la sua prestezza e mostruosità. Ma cosa volessero cavarne, allora appunto che i Francesi sembravano disposti piú a ritirarsi che a spadroneggiare, io non lo vedeva davvero. Pareva al mio debole giudizio che la nostra indipendenza appoggiata ai Turchi ed ai Russi avrebbe fatto pessima prova della propria solidità. Ma v'avea gente allora che portava piú oltre assai le proprie illusioni e lo si comprenderà dalla morte miserrima del generale Lahoz nelle vicinanze d'Ancona. Intanto fermiamoci in Puglia ad osservare i vascelli turco-russi che dai conquistati porti di Zante e di Corfù si volgono alle spiagge tumultuanti della Puglia.
Ettore Carafa non era l'uomo delle mezze misure. Giunto dinanzi al suo feudo di Andria i cui abitanti parteggiavano per Ruffo, diede loro assai buone parole di moderazione e di pace. Non ascoltato sfoderò la spada, ordinò l'assalto; e un assalto del Carafa voleva dire una vittoria. Invulnerabile come Achille, egli precedeva sempre la legione; valente soldato colla spada, col moschetto, sul cannone, si mescolava colle abitudini del soldato, e riprendeva a suo grado le maniere di capitano senza dar nell'occhio per soverchia burbanza. Ultimamente alla sua guerriera rozzezza erasi mescolata un'ombra di mestizia: i subalterni ne lo amavano piucchemai, io l'ammirava e lo compiangeva. Ma egli era di quegli uomini che nella propria religione politica trovano un conforto un usbergo contro qualunque sventura; tempre di fuoco e d'acciaio che confondono Dio colla patria la patria con Dio e non sanno pensare a se stessi quando il pubblico bene e la difesa della libertà cingono loro la spada degli eroi.
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