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      Dopo alcuni minuti di quella corsa precipitosa giunsimo ad una porta fra due colonne che pareva d'un monastero; e il vecchio prete apertala e impugnato un lampioncino che ardeva nel vestibolo, mi guidò fino ad una stanza donde usciva un lamento come di moribondo. Io entrai convulso dalla meraviglia e dal dolore e caddi con uno strido sul letto dove mio padre mortalmente ferito alla gola combatteva ostinatamente colla morte.
      - Padre mio! padre mio - io mormorava. Non aveva né fiato né mente a pronunciare altra parola. Quel colpo era cosí imprevisto, cosí terribile che mi toglieva affatto quell'ultimo fiato di coraggio rimastomi.
      Egli tentò allora sollevarsi sul gomito e vi riuscí infatti per cercarsi colla mano non so che cosa intorno alla cintura. Coll'aiuto del prete si cavò di sotto alle larghe brache albanesi una lunga borsa di pelle, dicendomi con molta fatica che quello era quanto poteva darmi d'ogni sua sostanza e che del resto chiedessi ragione al Gran Visir... Era per soggiungere un nome quando gli uscí dalla gola un largo fiotto di sangue e ricadde sui guanciali respirando affannosamente.
      - Oh per pietà, padre mio! - gli veniva dicendo. - Pensate a vivere! non vogliate morire!... Abbandonarmi ora che tutti mi hanno abbandonato!...
      - Carlo - soggiunse mio padre, e questa volta con voce fioca ma chiara perché quell'ultimo sbocco di sangue pareva lo avesse sollevato di molto - Carlo, nessuno è abbandonato quaggiù finché vivono persone che non si devono abbandonare. Tu perdi tuo padre, ma hai una sorella, ignota finora a te.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Gran Visir