Il giorno appresso non erano le dieci che l'ordinanza di Alessandro mi portò in casa la famosa fiera: infatti il peso non era minore della fama, e non mi ricordava mai d'aver veduto neppur nella cucina di Fratta un gatto cosí smisurato.
- E cosa n'è del tuo padrone? - chiesi con fare svagato all'ordinanza.
- L'ho lasciato nella sua stanza che strepitava con tutte le donne della casa - mi rispose il soldato. - Ma egli è avvezzo a tener testa ai Russi, né avrà paura di quattro gonnelle.
Un quarto d'ora dopo io avea già consegnato la bestia alla cuoca che ne cavasse la maggior quantità possibile di brodo, intorbidandogli il sapore gattesco con sedani e cipolline, quando mi capitò dinanzi Alessandro tutto sconvolto ed arruffato che pareva Oreste perseguitato dalle Furie, e rappresentato dal Salvini. Appena entrato in camera si buttò sopra una poltrona strepitando e bofonchiando che piuttosto che dar la caccia a un altro gatto sarebbe uscito dai castelli per conquistar un bue contro i Tedeschi, i Russi e quanti altri ne volessero venire. Io aveva piú voglia di ridere che di piangere; ma mi trattenni per non fargli dispiacere.
- Senti cosa mi capita! - diss'egli dopo aver buttato via il cappello dispettosamente. - Io avea pensato di mandar la portinaia fuori di casa, e la cameriera in cerca della portinaia; sicché in quel frattempo la padrona saliva da me, io le faceva la burletta del gatto, e l'ordinanza aveva libero il campo per accomodarlo a suo modo; intanto portinaia o cameriera tornavano e mi toglievano d'impiccio.
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