Mi venne infatti a prendere il giorno appresso per condurmi allo Spedal militare. Là trovammo il povero Bruto Provedoni che cominciava ad alzarsi allora da una lunga malattia; ma si era alzato con una gamba di legno. Immaginatevi la brutta sorpresa! Anche Alessandro avea ignorato un pezzo la disgrazia dell'amico e non avendone novella da un secolo la credeva forse ancor peggiore; quando cercando per gli spedali d'un suo soldato che non si trovava piú, e lo dicevano infermo, avea dato il naso nell'amico. Tuttavia di noi tre lo stesso Bruto era il meno costernato. Egli rideva, cantava e si provava a camminare e a ballare sulla sua gamba di legno cogli attucci piú grotteschi del mondo. Diceva soltanto che si pentiva di non aver tardato a perder la gamba fin nel tempo dell'assedio, che allora avrebbe potuto mangiarsela con molto piacere. Mi consolai d'averlo trovato, ché in qualche maniera poteva essergli utile. Infatti tutta la sua convalescenza egli la passò in casa nostra colla Pisana e con Lucilio, e schivò le noie e gli incommodi degli spedali militari.
A Genova rividi anche Ugo Foscolo, ufficiale della Legione lombarda, e fu l'ultima volta che stetti con lui sul piede dell'antica dimestichezza. Egli stava già sul tirato come un uomo di genio, si ritraeva dall'amicizia, massime degli uomini, per ottener meglio l'ammirazione; e scriveva odi alle sue amiche con tutto il classicismo d'Anacreonte e d'Orazio. Questo serva a provare che non si era sempre occupati a morire di fame, e che anche il vitto di cicoria né spegne l'estro poetico né attuta affatto il buon umore della gioventù.
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