Ascanio Minato, ch'era divenuto capitano e avea lasciato a Milano la volubile contessa rubata ad Emilio, ottenne in quel torno d'essere di guarnigione a Ferrara. Anche a Genova egli ronzava intorno alla Pisana senza poterla avvicinare per la nessuna cura che costei si dava di lui nelle diversissime occupazioni di quel tempo. Ma a Ferrara non le parve vero di poter variare d'alcun poco la noia domestica, e s'adoperò tanto che dovetti consentire l'ingresso in mia casa al brillante ufficiale. Costui mi spiaceva per tutte le ragioni: per le sue gesta anteriori, pel mio amor proprio, per la memoria del povero Giulio, per la baldanza del portamento e del parlare, per l'affettazione francese, buffa e spregevole in un còrso. Ma mi guardava bene dal dargli carico di tutto ciò in presenza della Pisana; sapeva che alle volte nulla piú nuoce d'un biasimo inopportuno, massime presso le indoli che amano l'assurdo e la contraddizione. Perciò stava composto e con bella creanza; come si conviene ad un magistrato ad un padrone di casa; ma teneva ben aperti gli occhi in testa, e il signor Minato aveva raramente il coraggio di incontrarli coi suoi. L'Aglaura e Spiro scrivevano da Venezia notizie piuttosto varie che buone. Avevano avuto un secondo bambino, ma la loro madre era morta, e ne vivevano inconsolabili; il commercio loro prosperava, ma la cosa pubblica sembrava in balía piú dei tristi che dei buoni. Il Venchieredo padre spadroneggiava senza pudore ostentando maniere linguaggio e alterigia forestiere.
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