La Contessa di Fratta, come zia, batteva l'acciarino: ma piú che l'affetto pel nipote la lusingava la speranza d'una ricca senseria, perché la sua passione pel gioco continuava sempre e il patrimonio della famiglia calava sempre trovandosi omai ridotto ad un centinaio di campi intorno al castello di Fratta, sui quali erano ipotecati i crediti delle figlie. La reverenda Clara dopo la morte della madre Redenta era diventata la grande testa del convento e volevano farla badessa. Perciò meno che mai si angustiava per quello che avveniva di brutto o di bello nel secolo. Il conte Rinaldo sgobbava sempre alla Ragioneria e nelle biblioteche; Raimondo Venchieredo se gli aveva offerto di fargli ottenere un avanzamento negli uffici amministrativi, ma aveva ostinatamente rifiutato; andava via unto e cencioso col suo ducato al giorno, pelatogli anche questo dalla madre; ma non voleva, a mio credere, curvar la schiena piú che non fosse strettamente necessario. L'Aglaura in particolare mi dava notizie della Doretta che come sapete era stata altre volte in qualche relazione con lei e precisamente le aveva recato per parte del Venchieredo qualche lettera d'Emilio dopo la partenza di costui per Milano. La sciagurata, abbandonata da Raimondo, aveva perduto ogni ritegno; e di amante in amante sempre piú basso era caduta nei sitacci piú fetidi e infami di Venezia.
- Vedi, a chi ti fidavi? - dissi io alla Pisana.
Ella m'avea confessato che la Doretta era stata a narrarle il mio amore e la mia fuga coll'Aglaura; nella qual cosa la stupida bagascia serviva alle mire di Raimondo contro il suo proprio interesse.
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