- Che vuoi che ti risponda? - soggiunse la Pisana. - Già sai che quando si è stizziti con alcuno meglio ci entrano le parole cattive che le buone. E se ti confessassi ora che Raimondo stesso mi ti dipingeva come un imbroglione, rimasto a Venezia piú tardi degli altri e partito poi per Milano alla sfuggita, solamente per pescar nel torbido, ma in un torbido molto puzzolente!?
- Ah birbante! - sclamai. - Questo ti diceva Raimondo?... L'avrà a fare con me!...
- Io però non ci credeva molto - riprese la Pisana - o se ci credeva non glie ne venne alcun utile, perché cercava forse di staccarmi da te e non fece altro che precipitare la mia venuta a Milano.
- Basta, basta! - diss'io che non udiva ricordare molto volentieri questa parte della nostra vita. - Vediamo ora cosa ne scrive da Cordovado Bruto Provedoni.
E lessimo la lettera tanto sospirata del povero invalido. Io potrei anche, come ho fatto finora, darvene il compendio; ma la modestia di scrittore non lo permette; qui bisogna cedere il campo ad uno migliore di me, e vedrete come un animo generoso sa sopportar la sciagura e guardar dall'alto le cose del mondo senza negar loro né cooperazione né pietà. La lettera l'ho ancora fra le mie cose piú care; nel reliquario della memoria che principia colla ciocca di capelli fattasi strappare dalla Pisana, e finisce colla spada di mio figlio che ieri mi giunse dall'America insieme con la tarda conferma della sua morte. Povero Giulio! era nato per esser grande; e non poté esserlo che nella sventura.
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