Invece la sorte mi faceva battere la campagna a destra ed a mancina. L'anno prima bocca inutile a Genova, allora segretario a Ferrara; i geroglifici del mio pronostico si disegnavano con caratteri tanto varii che a volerne comporre una parola bisognava stiracchiare affatto il buon senso.
Fortuna che la Pisana mi dava frequentissimi svagamenti da queste mie melensaggini. Le sue rappresaglie donnesche col capitano Minato, e le bizzarrie continue che davano a parlare per un mese alla già sordo-muta società di Ferrara mi tenevano occupato per quelle poche ore che mi restavano libere dal trebbiatoio dell'ufficio. Passare dalle somme, dalle sottrazioni e dalle operazioni scalari delle imposte agli accorgimenti strategici d'un amante geloso non era impresa da cavarsene come a sorbir un uovo. Anzi mi faceva mestieri tutta la ginnastica dello spirito, e tutta la prontezza acquistata in simili evoluzioni da quindici e piú anni d'esercizio. Del resto v'aveano giorni che la Pisana s'occupava sempre di me, e di sorvegliarmi come un ragazzaccio che meditasse qualche scappata; allora, o fingeva di non m'accorgere di una cotal diffidenza, o ne metteva il broncio, ma davvero che ne aveva un gusto matto, perché poteva riposarmi delle fatiche passate e preparar lena pel futuro. Se mai vi fu amante o marito che si affannasse per ben governar la sua donna senza farle sentire il peso delle redini, fui certo io in quel tempo vissuto a Ferrara. I galanti papallini, i lindi ufficialetti francesi andavano dicendo: - Che buona pasta d'uomo!
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