- Viva il signor Ludro!... - Cosí vissi quei non pochi mesi tutto impiegato tutto lavoro tutto fiducia senza pensare da me, senza guardar fuori dal quadro che mi si poneva dinanzi agli occhi. Capisco ora che quella non è vita propria a svegliare le nostre facoltà, e a invigorire le forze dell'anima; si cessa di esser uomini per diventar carrucole. E si sa poi cosa restano le carrucole se si dimentica di ungerle al primo del mese.
Fu sventura o fortuna? - Non so: ma la proclamazione dell'Impero Francese mi snebbiò un poco gli occhi. Mi guardai attorno e conobbi che non era piú padrone di me; che l'opera mia giovava ingranata in quelle altre opere che mi si svolgevano sotto e sopra a suon di tamburo. Uscir di là, guai; era un rimaner zero. Se tutti erano nel mio caso, come avea ragione di dubitarne, le paure di Lucilio non andavano troppo lontane dal vero. Cominciai un severo esame di coscienza; a riandare la mia vita passata e a vedere come la presente le corrispondeva. Trovai una diversità, una contraddizione che mi spaventava. Non erano piú le stesse massime le stesse lusinghe che dirigevano le mie azioni; prima era un operaio povero affaticato ma intelligente e libero, allora era un coso di legno ben inverniciato ben accarezzato perché mi curvassi metodicamente e stupidamente a parar innanzi una macchina. Pure volli star saldo per non precipitare un giudizio, certo oggimai che non sarei sceso un passo piú giù in quella scala di servilità.
Quando arrivò la notizia del mutamento della Repubblica in un Regno d'Italia, presi le poche robe, i pochi scudi che aveva, andai difilato a Milano, e diedi la mia dimissione.
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