Trovai altri quattro o cinque colleghi venuti per l'egual bisogna e ognuno credeva trovarne un centinaio a fare il bel colpo. Ci ringraziarono tanto, ci risero in grugno, e notarono i nostri nomi sopra un libraccio che non era una buona raccomandazione pel futuro. Napoleone capitò a Milano e si pose in capo la Corona Ferrea dicendo: - Dio me l'ha data, guai a chi la tocca! - Io mi assettai povero privato nelle antiche camerucce di Porta Romana dicendo a mia volta: - Dio mi ha dato una coscienza, nessuno la comprerà! - Ora i nemici di Napoleone trovarono ardimento e forza bastante a toccare e togliergli del capo quella fatale corona; ma né la California né l'Australia scavarono finora oro bastante per pagare la mia coscienza. - In quella circostanza io fui il piú vero e il piú forte.
CAPITOLO DECIMONONO
Come i mugnai e le contesse mi proteggessero nel 1805. Io perdono alcuno de' suoi torti a Napoleone, quand'egli unisce Venezia al Regno d'Italia. Tarda penitenza d'un vecchio peccato veniale, per la quale vo in fil di morte; ma la Pisana mi risuscita e mi mena secolei in Friuli. Divento marito, organista e castaldo. Intanto i vecchi attori scompaiono dalla scena. Napoleone cade due volte, e gli anni fuggono muti ed avviliti fino al 1820.
Lucilio s'era rifugiato a Londra; egli aveva amici dappertutto e d'altra parte per un medico come lui tutto il mondo è paese. La Pisana mi avea sempre tenuto a bada colle sue promesse di venirmi a raggiungere: allora poi, dopo abbandonato l'ufficio, non avea nemmen coraggio di chiamarla a dividere la mia povertà. A Spiro e all'Aglaura sdegnava di ricorrere per danari; essi mi mandavano puntualmente i miei trecento ducati ad ogni Natale; ma ne avea erogato due annualità a pagamento dei debiti lasciati a Ferrara, e di quelle non poteva giovarmi.
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