- Carlo Altoviti, mi sembra - disse con gentilissimo sforzo di memoria la signora.
Io m'inchinai diventando tanto rosso che mi sentiva scoppiare. Erano crampi di stomaco.
- Sembrami - continuò ella - aver osservato questo nome se non isbaglio l'anno scorso nell'annuario della nostra alta magistratura.
Io diedi una postuma gonfiata in memoria della mia intendenza, e mi tenni ritto e pettoruto mentre il colonnello rispondeva che infatti io era stato preposto alle Finanze di Bologna.
- E c'intendiamo - soggiunse la signora a mezza voce inchinandosi verso di me - il nuovo governo... queste sue massime... insomma vi siete ritirato!
- Già - risposi con molto sussiego, e senza aver nulla capito.
Allora cominciarono ad entrar in sala conti, contesse, principi, abati, marchesi, i quali venivano mano a mano annunciati dalla voce stentorea del portiere: era un profluvio di don che mi tambussava le orecchie, e diciamolo imparzialmente, quel dialetto milanese raccorciato e nasale non è fatto per ischiarire le idee ad un ubbriaco. In buon punto il colonnello s'avvicinò alla padrona di casa per accomiatarsi; io non ne poteva piú. Essa gli disse all'orecchio che tutto era già combinato e che ne andassi difilato il giorno appresso alla ragioneria ove mi avrebbero assegnato il mio compito e dettomi le condizioni del servigio. Io ringraziai inchinandomi e strisciando i piedi, sicché una dozzina di quei don muti e stecchiti si volse meravigliata a guardarmi; indi battendo fieramente i tacchi al fianco del colonnello m'avviai fuori della sala.
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Altoviti Finanze Bologna
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