L'aria aperta mi fece bene; perché mi si rinfrescò d'un tratto il cervello, e fra i miei sentimenti si intromise un po' di vergogna dello stato in cui m'accorgeva essere, e della brutta figura che temeva aver sostenuto nella conversazione della Contessa. Peraltro mi durava ancora una buona dose di sincerità; e cominciai a lamentarmi della fame che avevo.
- Non hai altro? - mi disse il colonnello. - Andiamo al Rebecchino e là te la caverai. - Non mi ricordo bene se dicesse il Rebecchino; ma mi pare di sí, e che in fin d'allora ci fosse a Milano questa mamma delle trattorie.
Io mi lasciai condurre; me ne diedi una gran satolla senza trar fiato o pronunciar parola, e mano a mano che lo stomaco tornava in pace, anche il capo mi si riordinava. La vergogna mi venne crescendo sempre fino al momento di pagare; e allora stava proprio per rappresentare la commediola solita degli spiantati, di palpar cioè il taschino con molta sorpresa, e di rimproverarmi della mia maledetta sbadataggine per la borsa perduta o dimenticata; quando una piú onesta vergogna mi trattenne da questa impostura. Arrossii di essere stato piú sincero durante l'ubbriachezza che dopo, e confessai netta e schietta ad Alessandro la mia estrema povertà. Egli andò allora in collera che gliel'avessi nascosta in fino allora; volle consegnarmi a forza quei trenta scudi che aveva e che dopo pagato il conto non rimasero che ventotto; e si fece promettere che in ogni altro bisogno avrei ricorso a lui che di poco sí, ma con tutto il cuore m'avrebbe sovvenuto.
| |
Contessa Rebecchino Rebecchino Milano Alessandro
|