Io dimenticai per un istante la quistione della libertà per mettermi tutto nella gioia di riveder Venezia, e la Pisana, e mia sorella e Spiro e i nipoti, e i carissimi luoghi dove s'era trastullata la mia infanzia e viveva pur sempre tanta parte dell'anima mia. Le lettere che mi scrisse allora la Pisana non voglio ridirvele per non tirarmi addosso un troppo grave cumulo d'invidia. Io non mi capacitava come tutti questi struggimenti potessero combinarsi colla noncuranza dei mesi passati; ma la contentezza presente vinceva tutto, soperchiava tutto. Pensando a null'altro, io salii dalla signora Contessa colle lagrime agli occhi, e lí le dichiarai che dopo la pace di Presburgo...
- Cosa mai?... Cosa c'è di nuovo dopo la pace di Presburgo? - mi gridò la signora tirando gli occhi come una vipera.
- C'e di nuovo ch'io non posso piú fare né l'intendente, né il maggiordomo...
- Ah! mascalzone! E me lo dite in questa maniera?... Son proprio stata una buona donna io a mettere... tutta la mia confidenza in voi!... Uscitemi pure dai piedi e che non vi vegga mai piú!...
Era tanto fuori di me dalla consolazione che questi maltrattamenti mi fecero l'effetto di carezze: non fu che dopo, al tornarci sopra, che m'accorsi della porcheria commessa nell'accomiatarmi in quel modo. Certi favori non bisogna dimenticarseli mai quando una volta furono accettati per favori, e chi se ne dimentica merita esser trattato a calci nel sedere. Se la Contessa usò meco con minore durezza, riconosco ora che fu tutta sua indulgenza; perciò non mi diede mai il cuore di unirmi ai suoi detrattori quando ne udii dire tutto il male che vedrete in appresso.
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