La Pisana mi accolse a Venezia col giubilo piú romoroso di cui ell'era capace ne' suoi momenti d'entusiasmo. Siccome io avea provveduto che mi si lasciasse libero almeno un appartamentino della mia casa, ella voleva ad ogni costo accasarsi presso di me: ghiribizzo che troverete abbastanza strano raffrontato colla tenerezza e colle cure da lei prodigate fino allora al marito. Ma il piú strano si fu quando il vecchio Navagero, disperatissimo di cotal risoluzione della moglie e della valente infermiera che era in procinto di perdere, mi mandò a pregare in segreto che piuttosto andassi io ad abitare presso di lui che m'avrebbe veduto con tutto il piacere. L'era un portar troppo oltra la tolleranza veneziana; e da ciò capii che l'apoplessia lo aveva liberato perfettamente de' suoi umori gelosi. Ma io non mi degnai di arrendermi alle gentili preghiere del nobiluomo; feci parte di questi miei scrupoli alla Pisana, e suo malgrado pretesi che la restasse presso il marito. L'amore avrebbe riguadagnato in freschezza e in sapore quel poco che ci perdeva di facilità. Anche Spiro e l'Aglaura mi volevano con loro; ma io aveva fitto il capo nella mia casetta di San Zaccaria, e non mi volli movere di là.
Cosí vissi spensierato d'ogni cosa e beatissimo fino alla primavera, stando il piú che poteva alla larga dalla Contessa di Fratta, da suo figlio, ma godendo le piú belle ore della giornata in compagnia della mia Pisana. La pietà di costei per quel vecchio e malconcio carcame del Navagero trascendeva tanto ogni misura, che talvolta mi dava perfino gelosia.
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