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      Dei Frumier il Cavaliere di Malta pareva sepolto vivo; l'altro, sposata la donzella Contarini e cacciato avanti nelle Finanze, era arrivato a farsi nominar segretario. L'ambizione lo spingeva per una carriera a cui per la nuova ricchezza poteva facilmente rinunciare; e con quel suo capolino di oca, giunto a disegnare la propria firma sotto un rapporto, gli pareva di poter guardare dall'alto in basso i cavalli di San Marco e gli Uomini delle Ore. Mi sorprese peraltro assaissimo che tanto lui quanto il Venchieredo l'Ormenta e taluni altri impiegati dell'usato governo continuassero ad esser sofferti dal nuovo, o nelle antiche cariche o in nuovi posti abbastanza importanti e delicati. Siccome peraltro né cogli usciti né cogli entranti io aveva a partire la mela, non m'alambicava il cervello di saperne il perché. Quello piuttosto che mi dava alcun fastidio si era che molti degli amici miei, di Lucilio d'Amilcare, e qualche intriseco di Spiro Apostulos, e mio cognato stesso mi trattassero alle volte con qualche freddezza. Io non credeva di aver demeritato della loro amicizia; perciò non mi degnava neppure di rammaricarmene, ma uscii a dirne qualche cosa coll'Aglaura e costei si schivò con dir che suo marito avea spesso la testa negli affari, e non potea badare a feste e a cerimonie.
      Un giorno mi venne veduto in Piazza un certo muso ch'io non aveva incontrato mai senza alquanto rincrescimento; voglio dire il capitano Minato. Io cercava sfuggirlo, ma me lo impedí dieci pertiche lontano con un "ho!


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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