E la cagnetta si mise ad abbaiare a me! Per una volta lo sopportai; ma alla seconda uscii affatto dai gangheri; al contegno altero e beffardo di Raimondo m'accorsi a tempo della bestialitŕ, e scappai giů per la scala perseguitato dai latrati di quella sconcia cagnetta. Oh queste bestiole sono pur barbare e sincere! Esse fanno e ritirano, a nome delle padrone, dichiarazioni d'amore che non vi si sbaglia d'un capello. Ma allora io era tanto indemoniato che di cagnetta e padrona avrei fatto un fascio per gettarlo in laguna. Dite ch'io mi vanto d'un'indole mite e rassegnata! Che avrebbe fatto nel mio caso un cervello caldo e impetuoso io non lo so.
In tutto questo l'unico punto che non appariva oscuro si era la perfidia della Pisana verso di me, e il suo invasamento per Raimondo Venchieredo. Che costui poi fosse la causa della mia sventura, non lo potea dire di sicuro, ma amava crederlo per potermi scaricare sopra taluno di quel gran bollore di odio che mi sentiva dentro. Per metter il colmo al mio delirio, ebbi a quei giorni una lettera da Lucilio cosí agghiacciata, cosí enigmatica che per poco non la stracciai. Che tutti amici e nemici si fossero data la parola per menarmi all'estremo dell'avvilimento e della disperazione?... Quel colpo poi che mi veniva da Lucilio, dall'amico il di cui giudizio io poneva sopra il giudizio di tutti, da quello che avea regolato fin'allora la mia coscienza, e tenutomi luogo di quella costanza di quella robustezza che talvolta mi mancavano, un tal colpo dico, mi tolse perfino il discernimento della mia disgrazia.
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