Erano piú che due sorelle. La Pisana la amava tanto che io ne ingelosiva; se l'Aquilina la chiamava, certo ch'ella si stoglieva da me e correva da lei, capace anco di farmi il muso s'io osava trattenerla. Cosa fosse questa nuova stranezza, io non capiva allora; ma forse ci vidi entro in seguito, per quanto si può veder chiaro in un temperamento cosí misterioso e confuso come quello della Pisana.
Dopo alcuni mesi di questa vita semplice laboriosa tranquilla, gli affari della famiglia di Fratta mi richiamarono a Venezia. Si trattava di ottenere dal conte Rinaldo la facoltà di alienare alcune valli infruttifere affatto verso Caorle e le quali erano richieste da un ricco signore di quelle parti che tentava una vasta bonificazione. Ma il Conte, tanto trascurato ed andante per solito, si mostrava molto restio a quella vendita e non voleva accondiscendere per quanto evidenti fossero i vantaggi che gliene doveano derivare. Egli era di quegli animi indolenti e fantastici che svampavano in sogni in progetti ogni loro attività; e appoggiano le loro speranze ai castelli in aria per esimersi appunto di fabbricare in terra qualche cosa di sodo. Nella futura coltivazione di quelle fondure paludose egli sognava il ristoro della sua famiglia e non voleva per oro al mondo frodare la propria immaginazione di quel larghissimo campo d'esercizio. Arrivato a Venezia trovai le cose mutate d'assai.
Le straordinarie giubilazioni per l'aggregazione al Regno Italico aveano dato luogo mano a mano ad un criterio piú riposato del bene che ne proveniva al paese.
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