- Allora solamente la Pisana si prendeva cura di me; altrimenti gli era come se io non ci fossi; un'eclisse completa. L'Aquilina mi stava dinanzi, e l'anima della Pisana non vedeva che lei. Fino in certi momenti, nei quali per solito il pensiero non ispazia molto lontano, io sorprendeva la mente della Pisana occupata dell'Aquilina. Se fossimo stati ai tempi di Saffo avrei creduto a qualche mostruoso stregamento. Che so io?... Non poteva raccapezzarci nulla: l'Aquilina mi diventava alle volte perfino odiosa, e il minor male ch'io dicessi in cuor mio della Pisana si era di chiamarla pazza.
Eccomi arrivato ad un punto della mia vita che mi riuscirà molto difficile dichiarare agli altri, per non averlo potuto mai chiarir bene bene nemmeno a me: voglio dire al mio matrimonio. Un giorno la Pisana mi chiamò di sopra nella nostra stanza e senza tanti preamboli mi disse:
- Carlo, io m'accorgo di esserti venuta a noia; tu non mi puoi voler piú l'un per cento del bene che mi volevi. Tu hai bisogno d'un affetto sicuro che ti ridoni la pace e la contentezza della famiglia. Ti rendo la tua libertà e voglio farti felice.
- Che parole, che stranezze son queste? - io sclamai.
- Sono parole che mi vengono dal cuore, e le medito da un pezzo. Lo dico e lo ripeto; tu non puoi volermi bene. Seguiti ad amarmi o per abitudine o per generosità; ma io non posso sacrificarti piú a lungo, e devo per ricompensa metterti sulla vera strada della felicità.
- La strada della felicità, Pisana? Ma noi l'abbiamo battuta lunga pezza insieme quella strada fiorita di rose senza spine!
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