Allora non felice né immemore ma tranquillo e rassegnato mi rimisi alla mia vita di organista e di marito. L'Aglaura e Spiro scrivevano sempre piú maravigliati di quella mia improvvisa conversione; io rispondeva celiando che Dio m'avea toccato il cuore: ma sovente si scrive quello che non si sente.
I mesi correvano via semplici, laboriosi; sereni come quei cieli d'autunno nei quali il sole abbellisce la natura senza scaldarla.
L'Aquilina, tutta mia, si rivestiva ogni giorno di nuove grazie di nuovi pregi per piacermi; la riconoscenza per un amore cosí nobilmente dimostrato m'inchinava sempre piú verso di lei, e rendeva sempre piú rari i rimpianti del passato. Il cuore volava ancora talvolta; ma quando la mente instituiva confronti le conveniva confessare che l'Aquilina era la piú amabile e la piú perfetta fra quante donne io m'avessi mai conosciuto. A lungo andare i giudizi della mente hanno qualche influenza sugli affetti d'un uomo di trentaquattr'anni. Quando poi m'avvidi ch'ella era incinta, quando mi strinsi fra le braccia il fantolino piú robusto e piú roseo che m'avessi mai veduto e sentii commoversi le mie viscere di padre, e di questa consolazione dovetti confessarmi debitore a lei, allora non seppi piú chi mi fossi; ringraziai quasi la Pisana di avermi sforzato a quello strambo spropositato matrimonio. Peraltro la mia memoria non era né morta né ingrata. Io voleva avere sovente notizie da Venezia, e sapendo che la Pisana accasata colla Clara presso suo marito non d'altro si occupava che di curare le infermità di questo, mi uscirono da capo certi giudizi temerari che aveva fatto sulla sua fuga dal Friuli.
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