Io assistetti alla demolizione e mi parve al funerale d'un amico; cosí pure il Conte non poté reggere allo spettacolo di quella rovina, e toccati quei pochi quattrini se ne tornò a Venezia. Ve lo richiamava anche la malattia di sua madre che cominciava a dar gravi timori. Appena sgomberi i cortili delle pietre spaccate a forza di piccone e delle macerie ragunatevi a montagne durante la demolizione, cominciò Monsignore a sentir piú molesto che mai lo scilocco. Una mattina ebbe uno svenimento durante la messa, e dopo d'allora non uscí piú della sua camera. Io fui a trovarlo il penultimo giorno di sua vita, gli domandai del suo stato e mi rispose colla solita solfa. Sempre quello scirocco ostinato!!... Tuttavia mangiava anche a letto a doppie ganasce, e all'ultima ora aveva il breviario da un lato e dall'altro mezzo pollastrello arrostito. La Giustina gli veniva domandando: - Non mangia, Monsignore?... - Non ho piú fame! - rispose egli con voce piú fioca del solito.
Cosí morí monsignor Orlando di Fratta, sorridendo e mangiando com'era vissuto; ma almeno si avea cavata la fame. Invece sua cognata, che gli andò dietro qualche mese dopo, farneticò fino agli estremi di carte e di trionfi; morí sognando vincite favolose, collo scrigno asciutto e con ogni sua roba al Monte di Pietà. I Cisterna dovettero prestare qualche ducato al conte Rinaldo per farla seppellire, giacché né la Clara né la Pisana avevano un ducato in tasca, e Sua Eccellenza Navagero si commiserava sempre della propria povertà. Tutti se n'andavano, ma costui batteva duro; segno che i miei ardentissimi voti di qualche anno addietro non avevano ottenuto grazia presso Domeneddio.
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