Io diedi contezza alla Pisana di questo suo pietoso desiderio già adempiuto da un pezzo, lodandone molto don Girolamo, il quale, benché non fosse né un Vincenzo di Paola né un Francesco d'Assisi, pur sapea farsi perdonare dai poverelli di Portogruaro la roba mal acquistata dal padre. - Non son tutti come il padre Pendola! - diceva io. Ella mi rispose che a proposito del padre Pendola se ne contavano di belle. Dappoiché il Papa aveva reintegrato la Compagnia di Gesù, egli s'adoperava molto per ottenerne lo stabilimento in Venezia. Siccome il novello istituto delle convertite non prosperava, si voleva ottenere dal consenso delle poche suore rimaste e colla debita licenza dei superiori di erogarne le entrate al primo impianto d'una casa e d'un collegio di novizi. Peraltro il governo pareva alieno dal favoreggiare quest'idea; anzi l'avvocato Ormenta, che la caldeggiava, era in voce di dover essere giubilato.
Da questa notizia io capii tutto il maneggio di quella faccenda e come quei dabben sacerdoti primi fondatori dell'istituto fossero stati ubbidientissimi burattini nelle mani del padre Pendola. Ma già anche per costui poco dovea durare la cuccagna; infatti morí anch'esso senza vedere i reverendi Padri stabiliti in Venezia. Buoni e tristi, tutti alla lunga dobbiamo andare. Al padre Pendola non mancarono né epitaffi né satire né panegirici né libelli. Chi voleva canonizzarlo e chi seppellirne in acqua il cadavere. Egli avea supplicato, morendo, quelli che lo assistevano di essere dimenticato come un indegno servo del Signore; né credeva che lo avrebbero ubbidito cosí appuntino.
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