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      Al milleottocentodiciannove durava in Europa quell'inquietudine nervosa che dura in un corpo dopo la corsa sfrenata e trafelante di alcune ore; idee chiare, sentimenti generosi e universali non erano piú, se non forse in qualche testa segregata dalla folla per indolenza, per disdegno, per disperazione. Anche dove i popoli per sentimento nazionale avevano cooperato alla reazione contro la Francia, la ingratitudine premeditata dei grandi e la varia diffidenza dei piccoli mettevano ogni cosa a subbuglio. Credevano di tirar innanzi una grande impresa di libertà; invece non avevano assicurato che l'interesse di alcuni sommi a scapito di molte vere franchigie. E questo avveniva specialmente in Germania. Da noi invece, malcontenti del passato, perché passato senza lasciarci quella grassa eredità che s'aspettava, malcontenti del presente, perché somigliava una crudele canzonatura, i piú s'adagiarono a vivacchiare, come si dice, a imbottirsi un guscio, a fornir la cucina. L'esperienza aveva indotto una grandissima disparità d'opinioni; perciò anche i pochi bene avveduti non ne speravano nulla o speravano troppo lontano. Solamente coloro che si erano avvezzati a quella meravigliosa attività e non potevano distogliersene a rischio anche di lavorare per nulla, guardavano ansiosamente alla Spagna dove ferveva lo spirito liberalesco. Esclusi dal maneggio degli affari, il talento di comandare, invincibile e legittimo negli operosi ed assennati, li traeva, come dissi, alle società segrete. Dalle Calabrie i Carbonari aprivano le loro vendite per tutta Italia e davano mano ai democratici di Francia, ai progressisti di Spagna.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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