Costui nella breve visita che gli feci si lodò molto della moglie, ma non mi vide, credo, con molto piacere, per la gran paura che gliela portassi via.
- Lo creda, signor Carlo - mi disse - che se mi scappasse via la mia infermiera io ne morrei il giorno dopo!
- Eh, vecchio, lo sai pure che si vuol maggior bene ai malati che agli amanti noi altre donne! - gli rispose la Pisana.
Il malato strinse la mano a lei ed a me; e li lasciai promettendo che presto nel ripassar da Venezia ci saremmo riveduti. Ma la Pisana mi si dimostrò anche nei commiati assai fredda e contegnosa come si conveniva ad una santa.
La sera prima di partire vidi in Piazza il colonnello Partistagno colla moglie; in verità aveva proprio ragione: quella sua baronessa somigliava proprio una cavalla; tanto aveva lunghe le braccia le gambe il muso. Tuttavolta Raimondo Venchieredo le faceva la corte. Costui mi vide appena che s'imbucò nella stanzuccia piú scura del caffè Suttil a leggere attentamente la Gazzetta. Era invecchiato, livido, brutto come un vizioso marcio; né io credo che se la guazzasse molto largamente dappoiché suo padre insieme coll'Ormenta aveva avuto la giubilazione a metà soldo. Questi due decrepiti finivano assai male la loro vita subdola e ladronesca; ma l'avvocato stava a miglior partito perché suo figlio era allora a Roma, dicevasi, in missione diplomatica e ne aspettava grandissimo aiuto. Certo non piansi di lasciar a Venezia una tal gentaglia; ma mi dolse che quando partii l'Aglaura era piucchemai afflitta dal suo male di debolezza e di melanconia.
| |
Carlo Pisana Venezia Pisana Piazza Partistagno Raimondo Venchieredo Suttil Gazzetta Ormenta Roma Venezia Aglaura
|