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      Dover morire essendo a Napoli, e senza poterlo rivedere! Confessate che la era un po' dura.
      Tuttavia partiti ch'essi furono mi racconsolai del mio meglio. Dissi fra me e me che quegli ultimi giorni non doveva perderli in frivolezze e in vani desideri, e che il meglio si era prender la morte sul grave, e dar un esempio di grandezza d'animo almeno ai carnefici. I buoni esempi parlano colle bocche di tutti, e giovano sempre; e il boia fece sovente maggior danno col parlar poi, che non avea recato vantaggio coll'impiecare.
      Il giorno appresso dopo aver dormito, lo confesso, con qualche inquietudine, udii venire pel corritoio alcuni passi che non erano né di guardie né di carcerieri. Quando apersero dunque la porta mi aspettava il confessore o qualche cameriere del boia che venisse a tondermi il capo o a misurarmi in collo. Niente di tuttociò. Entrarono tre figure lunghe lunghe nere nere, l'una delle quali trasse di sotto al braccio una carta, la spiegò lentamente, e cominciò a leggere con voce tronfia e nasale. Mi pareva udire Fulgenzio quando recitava l'epistola e questa reminiscenza non mi diede piacere alcuno. Tuttavia era tanto persuaso di dover morire l'indomani, tanto occupato di osservare quei tre scuriscioni, che non mi curai di dar retta a quanto leggevano. Mi fermò solamente l'attenzione la parola di grazia.
      - Cosa? - diss'io sguizzando tutto.
      - "Cosí si commuta la pena di morte in quella dei lavori forzati in vita da subirsi nella galera di Ponza" - continuava il nasaccio parlatore del signor cancelliere.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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