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      Allora capii di che si trattava, e non so se me ne consolassi, perché tra la morte e la galera ci vidi sempre pochissima differenza. I giorni appresso poi ebbi campo a convincermi che se ci aveva qualche vantaggio era forse dal lato della forca. Nell'isola di Ponza e precisamente nell'ergastolo ove fu confinato il libero arbitrio della mia umana libertà non si può dire che abbondassero i commodi della vita. Uno stanzone lungo e stretto guernito di tavolate di legno per coricarsi, acqua e zuppa di fagiuoli, compagnia numerosissima di ladri napoletani e di briganti calabresi; per soprammercato legioni d'insetti d'ogni stirpe e qualità che le maggiori non ne ebbe addosso Giobbe quando giaceva sul letamaio. Fosse effetto di chi ci mangiava addosso o degli scarsi e pitagorici alimenti, fatto sta che si pativa la fame; i guardiani dicevano che l'aria di Ponza ingrassa, io trovai che i fagiuoli mi smagrivano e guai se fossi stato colà piú di un mese. Non so come abbia fatto la figlia o la nipote d'Augusto a durarci dieci anni; probabilmente si cibava di qualche cosa di piú succolento oltre la fagiuolata. Fortuna, come dissi, che ci rimasi non piú di un mese; ma mi mandarono a Gaeta ove se ebbi miglior compagnia e se fui meglio pasciuto, cominciai invece a patire nella vista.
      Aveva per me solo un gabbiotto tutto bianco di calcina che guardava il mare; e di là il sole splendente in cielo e riflesso dalle acque mandava entro un cotal riverbero che si perdevano gli occhi. Feci istanze sopra istanze: tutto inutile.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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