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      Forse che ritenevano lecito di privar degli occhi un uomo cui si avea regalato la vita; ma non capisco allora perché non si fossero riserbati un cotal privilegio nell'atto di grazia. In tre mesi diventai quasi cieco: vedeva le cose azzurre verdi rosse, non mai del color naturale; perdeva ogni giorno piú il criterio delle proporzioni; alle volte il mio camerotto mi sembrava una sala sconfinata e la mia mano la zampa d'un elefante. I carcerieri poi mi sembravano addirittura rinoceronti.
      Il quarto mese cominciai a vedere quel mio pezzetto di mondo traverso una nebbia; al quinto principiò a calare un gran buio, e dei colori che vedeva prima non era rimasto che un rosso cupo, una tintura mista di polvere e di sangue. Allora capitò un ordine di trasferirmi a Napoli nel Castel Sant'Elmo; e mi tornarono innanzi i due soliti cancellieri a leggere la solita tiritera. Era graziato del resto della pena! Pazienza! Se non avrei piú veduto il mondo del colore che veramente era, lo avrei almeno passeggiato e fiutato a mio grado!... Avrei riveduto il mio paese, i miei figlioli, la moglie... Adagio con queste grandiosità!... Mi si graziava, sí, ma relegandomi fuori d'Italia; e potete credere che cacciato di lí, né FranciaSpagna sarebbero state disposte ad aprirmi le braccia. Qual razza di grazia fosse quella che mandava un povero cieco a cercar la limosina, Dio vel saprebbe dire. Peraltro ebbi il conforto di sapere che la grazia m'era venuta per intercessione della Principessa Santacroce e che con lei mi era concesso di abboccarmi prima di salpare dal porto di Napoli.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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