Un giorno io avea parlato con Lucilio il quale mi assicurava che se le cose procedevano a quel modo avremmo potuto arrischiare nella settimana seguente il viaggio verso Venezia. La sera mi trovai soletto colla Pisana, perché Lucilio aveva accompagnato mia moglie mio cognato e i miei ragazzi a vedere non so quali meraviglie di Londra; ell'era piú pallida ma piú allegra del solito; sperava sempre che nel suo bizzarro temperamento anche la salute potesse ravvivarsi d'improvviso sfuggendo alle regole comuni degli altri esseri, e che il male non fosse irreparabile con quella festività d'umore che allora le rinasceva.
- Pisana - le dissi - il mese venturo potremo essere a Venezia. Non ti pare che soltanto il pensiero ci faccia bene?
Ella sorrise levando gli occhi al cielo, né rispose nulla.
- Non credi - continuai - che l'aria nativa, la pace che gioiremo tutti uniti e tranquilli finiranno di guarirti dalla melanconia?
- Melanconia, Carlo? - mi rispose. - E come t'immagini mai ch'io sia melanconica?... Avrai osservato che una vera giocondità naturale e continua non l'ho mai avuta; erano sprazzi di luce, lampi fuggitivi e nulla piú. Sono sempre stata una creatura molto variabile, ma piú sovente taciturna e ingrognata. Soltanto ora mi sorride un bel tempo di serenità e di pace; non mi son mai sentita cosí calma e contenta. Credo che ho recitato la mia parte e spero qualche applauso.
- Pisana, Pisana, non parlare cosí!... Tu meriti molto maggiori applausi che noi non ti possiamo dare e li avrai.
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