Allora mi toccò confermare quello che sempre aveva creduto, cioè che se le donne non fossero al mondo per generarci, Dio le avrebbe dovute regalare agli uomini per infermiere. Una zitella piuttosto attempata, maestra di cucire che appena arrivava a tempo di campare la vita, aveva raccolto sulla via il mio Donato, e prestatogli tali cure che non mentiva il dottore dicendo che migliori né piú affettuose non le avrebbero prestate una sorella o una madre.
Io ringraziai piú a lagrime che a parole la buona giovine, e Donato si univa con me nel manifestarle la sua riconoscenza; ma ella si schermiva rispondendo che non aveva fatto piú di quanto era debito di cristiana carità, e raccomandava al ferito di pensare a sé e di non agitarsi, perché gliene poteva derivare qualche grave nocumento. Il dottore esaminò la piaga, a trovatala in via di miglioramento si partí raccomandando anch'esso che non tenessimo troppo occupato l'infermo in parole; ma lo si lasciasse riposare che aveva buonissime speranze. Non tardai a partecipare queste buone novelle all'Aquilina e pochi giorni dopo ne ebbi in risposta che avevano bastato per guarirla affatto e che ci aspettavano a braccia aperte non appena Donato fosse in grado d'imprendere il viaggio. Intanto io aveva saputo da lui il motivo principale della sua repentina deliberazione. Ed erano state le esageratissime calunnie da lui udite in casa Fratta a danno dei repubblicani delle Romagne.
- Tante parolacce - soggiunse egli - mi rivoltarono lo stomaco, e perché non mi avea dato il cuore di rintuzzarle, mi decisi di far meglio e di mostrare col fatto in qual conto le tenessi!
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