Trent'anni di studi di ricerche di meditazioni non gli sembravano sufficienti; ed ogni giorno gli saltava agli occhi qualche passo dove una piú larga critica avrebbe rischiarato le idee, o avviato meglio il lettore a comprendere lo spirito dell'autore. Per poco non era grato agli editori che gli aveano lasciato il tempo di lumeggiar meglio qualche parte del quadro e ritoccare il disegno. Ma poi quando tornava a credere di aver finito, e si rimetteva in giro per le botteghe dei librai col suo manoscritto sotto il tabarro, gli toccavano sempre le uguali repulse condite da ultimo anche da qualche motteggio e dalle sgrugnate dei meno cortesi. Consigliato a rivolgersi agli editori piú noti delle altre città, cominciò un ostinato carteggio con Firenze con Milano con Torino con Napoli. I piú neanche rispondevano; qualcheduno che serbava rispetto al Galateo lo invitava a mandare saggi della sua opera. Ed eccotelo il dabbenuomo, a scegliere a ripulire a trascrivere ancora: ma in fin dei conti capitava una lettera che trovava o lo stile troppo astruso o l'argomento troppo alieno dagli studi presenti; lo si invitava a scrivere di statistica e d'economia, che sarebbe decentemente retribuito, ma in quanto a quei lavori monumentali d'erudizione storica non s'affacevano al nostro secolo.
Il povero Conte metteva anche quelle ultime lusinghe nella cantera delle illusioni svanite; ma ne aveva una tal provvista da frustar ancora, che corsero parecchi anni prima che si persuadesse dell'assoluta impossibilità di trovare un editore per la Storia Critica del Commercio Veneto.
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