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      - Ti sbagli di grosso sul mio conto - rispose Giulio colla massima pacatezza e senza onorare la mia predica neppur d'un istante di esame. - Io non ho adottato il credo di nessuno. Il dottor Ormenta e il signor Augusto Cisterna sono vecchi furbi e scostumati non migliori né peggiori degli altri; ho continuato a stare con loro per abitudine e perché non ci vedea ragione di mutar compagnia, cascando dalla padella nelle bragie, cioè dal vizio nell'impostura. I giovani coi quali costumo son quelli che consentono meglio colle mie idee; e se hanno i loro difetti non posso avermene a male. Quanto poi a farmi soggezione delle ciarle della gente, non sono cosí sciocco. La mia coscienza mi dirà sempre ch'io la penso piú dirittamente di loro, e il mio buonsenso riformerà le sentenze appellabilissime dell'altrui ignoranza.
      Capii che a predicare tutta una quaresima non ci avrei cavato alcun frutto; e lasciai che se n'andasse, sperando e temendo insieme che l'esperienza avrebbe fatto quello che indarno io aveva tentato. Ma cominciava a dubitare che la mia trascuranza e la soverchia deferenza all'Aquilina dovessero essere gravemente punite, e che i figliuoli preparassero i piú fieri dolori della mia vecchiaia. Infatti non era solamente Giulio che mi dava da pensare; anche la Pisana cominciava a sgarrare sul serio, ed io m'accorgeva troppo tardi di aver perduto sopra di essi ogni paterna autorità.
      Quella ragazza, ve lo dissi, era la piú furba ed entrante che avessi mai conosciuto; ma mi confidava che l'esempio di sua madre e la scrupolosa religione nella quale la educava l'avrebbero preservata dai maggiori pericoli.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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