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      Di rado avrete mie novelle perché voglio che il mio nome resti morto, finché non risuoni benedetto ed onorato sulle labbra di tutti. Addio addio; e mi consolo nella certezza dell'amor vostro del vostro perdono!
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      Volete che ve lo dica? La lettura di questa lettera mi rimise l'anima in corpo; temeva assai peggio, e mi maravigliai meco stesso che un animo superbo e impetuoso come quello di Giulio si fosse piegato a confessare i proprii torti e a cercarne una sí degna espiazione. Ebbi il conforto di compianger mio figlio in vece di maledirlo, e mi rassegnai del resto a quell'imperscrutabile giustizia che m'imponeva sí fieri dolori. Guarito che fui, sebbene lo stato di mia moglie fosse ancora tutt'altro che rassicurante, e la desse di quando in quando segni palesi di pazzia, ripresi il mio servizio come colonnello della Guardia; e poiché fu sparsa la novella della partenza di mio figlio e della lettera che egli m'aveva scritta, ebbi la soddisfazione di veder pietosi e riverenti verso la mia canizie forse coloro stessi che l'avevano vituperato. Tuttavia non ebbi di lui ulterior contezza fino al maggio seguente, quando ci capitarono da Brescia alcune sue righe. Argomentai dal sito che si fosse arruolato nei corpi franchi che difendevano da quel lato i confini alpestri del Tirolo e si vedrà in seguito come mi apponessi alla verità. Io lo benedissi dal fondo del cuore e sperai che il cielo avrebbe secondato le generose speranze del figlio e i supplichevoli voti del padre.
      Due giorni dopo che furono entrati in Venezia i sussidii napoletani sotto il comando del general Pepe, mio vecchio conoscente, due uffiziali di quelle truppe vennero a chieder di me.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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