Mi ricordo ancora ch'io piansi all'udir raccontare quella scena commoventissima, la quale spiegava nobilmente il torpore semisecolare del buon cavaliere.
Intanto anche noi, senza essere cosí felici da morire, pure ebbimo le nostre consolazioni. La concordia d'ogni classe di cittadini, la serena pazienza di quell'ottimo popolo veneziano in ogni fatta di disgrazie, la cieca confidenza nel futuro, l'educazione militare che dietro i forti ripari della laguna aveva tempo di assodarsi, tutto dava a sperare che quello era il fine, o come diceva Talleyrand, il principio della fine. L'attività pubblica, occupando le menti d'ogni fatta di persone, impediva l'ozio, migliorando grandemente la moralità del paese, e non ultimo conforto era l'abbassamento dei tristi, i quali, a quel ridestarsi vittorioso della coscienza popolare, s'erano rimpiattati nelle loro tane, come ranocchi nel fango. Il dottor Ormenta era fuggito in terraferma, e morí, come seppi in appresso, per uno spavento fattogli da una scorreria di Corpi franchi. Non gli giovò per nulla lo aver portato nell'infanzia l'abitino di sant'Antonio, ed ebbe di grazia che lo accettassero in camposanto. Augusto Cisterna dimenticato e disprezzato da tutti rimase a Venezia; ma perfino i figliuoli vergognavano di portare il suo nome; ed Enrico, quello scapestrato, riconquistò qualche parte della mia stima col riportare uno sfregio traverso la faccia nella sortita di Mestre.
Un giorno ch'io tornava da una visita al general Pepe, il quale sopportava volentieri le mie chiacchiere, la Pisana mi si fece innanzi con cera piú grave del solito, dicendo che aveva cose di qualche rilevanza da comunicarmi.
| |
Talleyrand Ormenta Corpi Antonio Cisterna Venezia Enrico Mestre Pepe Pisana
|