Un giorno vennero a raccontarmi che il colonnello Giorgi e il caporal Provedoni, feriti sul ponte da una bomba, erano stati trasportati allo Spedale militare, donde per la gravità della ferita non era possibile traslocarli. Accorsi piú morto che vivo; li trovai giacere su due lettucci l'uno accanto all'altro, e parlavano dei loro anni giovanili, delle loro guerre d'una volta, delle comuni speranze come due amici in procinto di addormentarsi. E sí che respiravano a fatica, perché avevano il petto squarciato da due orribili piaghe.
- La è curiosa! - bisbigliava Alessandro. - Mi par d'essere nel Brasile!
- E a me a Cordovado sul piazzale della Madonna! - rispose Bruto.
Era il delirio dell'agonia che li prendeva; un dolcissimo delirio quale la natura non ne concede che alle anime elette per render loro facile e soave il passaggio da questa vita.
- Consolatevi! - diss'io trattenendo a stento le lagrime. - Siete fra le braccia d'un amico.
- Oh, Carlino! - mormorò Alessandro. - Addio, Carlino! Se vuoi che faccia qualche cosa per te, non hai che a parlare. L'Imperatore del Brasile è mio amico.
Bruto mi strinse la mano perché non era affatto fuori di sé; ma indi a poco tornò a svariare anch'esso, e ambidue svelavano in quelle ultime fantasticaggini dell'anima tanta bontà di cuore e tanta altezza di sentimenti, che io piangeva a cald'occhi e mi disperava di non poter trattenere i loro spiriti che si alzavano al cielo. Tornarono in sé un momento per salutarmi, per salutarsi a vicenda, per sorridere e per morire.
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