Spero che la mia famiglia prospererà sempre nella sua nuova patria; ma nel ricordarmi quei due vezzosi nipotini non posso fare a meno di sclamare: perché non son essi Italiani! La Grecia non ha certo bisogno di cuori giovani e valorosi che la amino!...
Giulio dopo la caduta di Roma mi avea dato novella di sé da molte stazioni del suo esiglio: da Civitavecchia, da Nuova York, da Rio Janeiro. Egli era esule pel mondo, senza tetto, senza speranza, ma superbo di aver lavato col sangue la macchia dell'onor suo, e di portar degnamente un nome glorioso ed amato. Ma poi tutto ad un tratto cessarono le lettere e soltanto ne ebbi contezza dai giornali, i quali lo nominavano fra i direttori di una nuova Colonia Militare Italiana che si formava nella Repubblica Argentina, nella provincia di Buenos Aires. Ascrissi adunque a infedeltà postali la mancanza de' suoi scritti, e attesi pazientemente che il cielo tornasse a concedermi quella consolazione. Ma un'altra non meno desiderata me ne fu concessa a quel tempo; voglio dire il ritorno in patria della Pisana e d'Enrico, con una vaga bamboletta che portava il mio nome e dicevano somigliasse a un ritratto fattomi a Venezia quand'era segretario della Municipalità. Allora solamente, coi miei figliuoli al fianco e colla Carolina sui ginocchi, mi sentii rivivere. Fu come una tiepida primavera per una pianta secolare che ha superato un rigidissimo inverno. Allora solamente, dopo quattr'anni ch'era tornato a Cordovado, ebbi il coraggio di visitar Fratta, e là passai coi nipoti del vecchio Andreini, già padri essi pure di numerosa figliuolanza, l'ottantesimo anniversario del mio ingresso in castello, quando vi era giunto da Venezia, chiuso in un paniere.
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