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      Dopo il pranzo uscii soletto per rivedere almeno il sito dove già era stato il famoso castello. Non ne rimaneva piú traccia; solamente qua e là alcuni ruderi fra i quali pascolavano due capre, e una fanciulla canterellava lí presso spiandomi curiosamente e sospendendo di filare. Ravvisai lo spazio del cortile e in mezzo ad esso la pietra sotto la quale avea fatto seppellire il cane da caccia del Capitano. Forse era l'unico monumento delle mie memorie che restasse intatto; ma no, m'inganno; tutto ancora in quei luoghi diletti mi ricordava i cari anni dell'infanzia e della giovinezza. Le piante la peschiera i prati l'aria ed il cielo mi menavano a rivivere in quel lontano passato. Sull'angolo della fossa sorgeva ancora alla mia fantasia il negro torrione, dove tante volte aveva ammirato Germano che caricava l'orologio; rivedeva i lunghi corritoi pei quali Martino mi conduceva per mano all'ora di coricarsi, e la sua romita cameretta dove le rondini non avrebbero piú sospeso il loro nido. Mi sembrava veder passare sullo sterrato o Monsignore col breviario sotto l'ascella, o il grandioso carrozzone di famiglia con entro il Conte la Contessa e il signor Cancelliere, o il cavalluccio di Marchetto sul quale soleva arrampicarmi. Vedeva capitare ad una ad una le visite del dopopranzo, monsignore di Sant'Andrea, Giulio Del Ponte, il Cappellano, il Piovano, il bel Partistagno, Lucilio; udiva le loro voci tumultuare nel tinello intorno ai tavolini da gioco, e la Clara leggicchiare a mezza bocca qualche ottava dell'Ariosto sotto i salici dell'ortaglia.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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