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      Deggio attendere da un dolore senza fine quello che sperava da una sùbita vittoria. Espiazione anche questa. Lo ripeto; il sacrifizio, fosse pur quello della vita, non ricompera nulla senza la prova della costanza. Finire non è redimere; fra compassione e gratitudine corre l'ugual tratto che tra colpa perdonata e perdono meritato. Soffrirò dunque ancora colla ferma coscienza che la Provvidenza mi apre la miglior via a provare con argomenti invincibili se non la giustizia certo la purezza del mio passato. Nei patimenti, vivaddio, io non ho bisogno di ritemprarmi; ma avrò la forza di tacere, finché mi venga incontro spontanea la stima dei miei fratelli.
     
      Genova, ottobre 1848
     
      Era impaziente di combattere, non per giovanile baldanza ma perché temeva che mi fosse apposto a infingardaggine il forzato riposo. Ma qui pure si va per le lunghe, e forse non hanno torto. Si ricordino che chi presume troppo è chiamato poi traditore, al pari di chi fugge nel momento del pericolo. Grande stupidità è la nostra di misurare la vita dei popoli da quella degli individui; i popoli devono, perché possono, aspettare; lo possono perché hanno dinanzi non venti trenta o cinquant'anni, ma l'eternità. Io stesso fin'ora avrei voluto sacrificare la sorte della nazione alla mia smania di menar le mani; ma non ricadrò in questo errore che par generoso ed è pazzo disperato vile. Finché i nostri desiderii non concorderanno appunto colla moderazione e coll'opportunità della vera sapienza le imprese cadranno o in eccesso o in difetto.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Provvidenza