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      Una casa costrutta di pietra viva ma che somiglia una tenda, tanto è aperta per ogni lato da logge, da atrii, da gallerie; dietro un gran giardino che finisce alla sponda del fiume, dinanzi un cortile dove s'affaccendano gli schiavi e nitriscono i puledri quando sulla sera li raccolgono nelle stalle. La città si stende nella pianura sopposta, e giunge anch'essa fino al fiume che dietro il nostro giardino s'incurva rapidamente: un po' a sinistra sono le caserme dove io vado due volte al giorno a comandar gli esercizi e a fare l'appello della notte. Costoro sono ubbidientissimi soldati a Rio Janeiro, ma lungo la strada perdono mano a mano le loro virtù, si tramutano in scorridori, in briganti, e qui poi di poco dissomigliano dagli Indiani che ci molestano di continui assalti.
      Sono brevi guerre, ma sanguinose e piene di rischi. Si tratta di superare, col vitto di parecchie giornate in ispalla, rupi quasi inaccessibili, di passare precipizi orribili sopra alberi tagliati al momento e buttati a cavalcioni da una sponda all'altra, di cercare i nemici come le fiere in antri profondi e tenebrosi, in boscaglie cupe paludose piene di agguati e di serpenti. Si ode un fischio rasente l'orecchio, e sono frecce scagliate da mani invisibili; non sono né feriti né prigionieri; le armi sono avvelenate e se fanno sangue uccidono; chi cade nelle mani del nemico è scannato senza remissione; dicono che qualche buongustaio si diverta anche a mangiarli. Del resto fuori di questi passeggeri trattenimenti la nostra vita è quella dei ricchi villeggianti sulle rive della Brenta; piú questo cielo, e questa magica natura che tramuta la terra in paradiso.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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